Amico lettore, è con molto piacere che ti apro le porte di questo nuovo spazio virtuale. Benvenuto nell’angolo delle chiacchiere letterarie! Se potessi, ti offrirei una tazza di tè o una cioccolata fumante con panna, da sorseggiare con piacere e con parsimonia; qualunque cosa ti permetta di gustare al meglio quanto io e lo scrittore di turno ci racconteremo. Perché tu sarai il nostro osservatore muto, silenzioso ma dall’occhio vigile.
L’autore che sto per presentarti si chiama Michele Masotti. Se hai letto la mia
precedente recensione, sai già di chi parlo: di un giovane scrittore senese con
all’attivo due validissimi romanzi, La
Follia del Palio e Sotto le mura diSiena, entrambi pubblicati da Leone Editore.
Masotti è un autore
particolarmente interessante, che spicca nell’attuale panorama letterario; uno
scrittore dalla penna arguta, poetica, capace di coinvolgere e di emozionare.
Una voce fortemente legata alla sua terra, alla sua Toscana, alla sua Siena e
che, con ogni probabilità, merita di oltrepassare i confini delle propria
regione. E’ un piacere per me poterlo intervistare e spero sia un piacere per
voi leggere quanto verrà fuori da questa nostra chiacchierata. Per me lo sarà
di sicuro. Buona lettura, amico!
Ciao
Michele, prima di ogni cosa permettimi di ringraziarti a nome di tutto lo staff
, sia per dedicarci parte del tuo tempo sia per aver accettato di condividere
una chiacchierata letteraria sul nostro blog.
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Allora
Michele, cosa puoi dire di te ai nostri lettori? Chi è Michele uomo prima
ancora del Michele scrittore? Ma soprattutto, come è nato il tuo rapporto con
la lettura prima, e con la scrittura poi?
Innanzitutto grazie a te
Danilo e al blog per lo spazio dedicatomi. Il “Michele uomo” è facilmente
riassumibile: trentaquattrenne, senese, una vita tutto sommato tranquilla in questa
piccola e controversa città, una compagna, Giulia, e una bimba di cinque mesi,
Agata. Un impiego non proprio entusiasmante in un’azienda di servizi
informatico-bancari affiancato però dall’attività di romanziere: più che un
lavoro una passione, anzi la mia vera espressione, non solo artistica.
Riguardo al rapporto
con la lettura, posso dire che è sempre stato buono, con periodi “onnivori”
alternati anche a lunghe pause prive di libri; mentre per quanto concerne il
mio scrivere, benché abbia sempre “scarabocchiato” qualcosa sin dalla tarda
adolescenza, la decisione di tentare il racconto di una storia arriva verso i
venticinque anni. Storia che però non ho pubblicato poiché il primo romanzo
vero e proprio risale ai miei trentatré anni: La follia del Palio, edito nel
2013.
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Qual
è il libro al quale ti senti maggiormente legato e perché? Nella stesura e
nell’ideazione dei tuoi romanzi ti ispiri a dei modelli di riferimento?
Insomma, in quello che scrivi quanto c’è di ciò che hai letto?
Il libro che mi ha dato
la spinta per tentare un prima opera è stato il romanzo incompiuto del mio
grande concittadino Federigo Tozzi: Adele.
Tozzi aveva scritto le bozze di questo libro all’inizio degli anni ’10 del ‘900
e così, senza pretesa di comparazione letteraria, mi venne l’idea di
“concluderlo” simbolicamente cento anni dopo. La protagonista de La Follia del
Palio si chiama proprio Adele in onore del grande romanziere. Ed egli è di
certo uno dei modelli di riferimento, specie nelle sue “architetture
psicologiche”, spesso magistralmente celate in quello che erroneamente si
ritiene verismo.
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La
follia del Palio e Sotto le mura di Siena sono i primi romanzi che hai
pubblicato. Entrambe le storie sono ambientate a Siena, la tua città. Ecco, io
penso che proprio Siena sia il grande personaggio aggiunto alle vicende che
racconti, probabilmente nel primo libro ancor più che nel secondo. Quanto conta
l’ambientazione nel momento in cui cominci a dar forma al romanzo? Pensi che se
avessi ambientato altrove le tue vicende, le tue storie sarebbero state le
stesse?
Sono molto felice di
questa domanda perché speravo che in questi romanzi la mia città trasparisse
proprio come una sorta di personaggio. Siena con la sua bellezza secolare e con
le sue contraddizioni vuole essere una sorta di metafora proprio dell’uomo
comune, teso tra la voglia di evasione da luoghi (non solo fisici) ritenuti a
volte circoscritti e il bisogno invece di certezze, di essere cullato tra
grandi mura materne. Siena insomma tra sprazzi regionalisti e aspirazioni
universali. Difatti credo che l’ambiente influisca molto sulle persone, e le
mie storie, benché ambientabili anche altrove, forse non sarebbero state le
stesse. Anche nei libri che leggo sono molto attento all’ambientazione, alla
cornice, che poi è cornice solo apparente poiché, se scandagliata a fondo, va
sempre a inficiare nell’interiorità dei personaggi; che sia la metropoli o il
paesino della provincia più sperduta.
-
Ne
La follia del Palio descrivi benissimo cosa significhi per un senese questa
corsa di cavalli; spieghi le emozioni che si provano prima, durante e dopo la
“carriera; illustri rivalità ed alleanze tra le varie contrade". Tu come vivi
generalmente questo attesissimo evento?
Come la maggior parte
dei senesi: in modo viscerale. Essendo molto più di una corsa di cavalli, anzi
una sorta di seconda pelle, era quasi obbligo inserire il Palio nelle vicende narrate
nel primo romanzo. Ho cercato di raccontarlo con cenni impressionistici che
possano renderlo digeribile anche ai “non addetti ai lavori”. Anzi, il Palio, scatola
estrema di passioni, può essere letto come uno specchio stesso dell’esistenza,
dove convivono tradimenti, intrighi, amori, vittorie e sconfitte, il tutto
coronato dal primigenio e spasmodico rapporto dell’uomo e dell’animale. E poi
la contrada che accompagna la nostra vita fino all’ultimo istante non può dunque
essere esclusa dalla narrazione della realtà sociale. Anche questa dimensione
così peculiare ritengo possa essere condivisa da tutti. Di più, nell’ottica di
quello che gli antropologi hanno definito “il demone dell’appartenenza”, il racconto
del Palio è solo un tentativo di riflessione sul filo invisibile che lega
ognuno alla propria terra. Un qualcosa su cui ragionare in un’epoca che, senza usare
troppa retorica, è evidentemente disgregante e anonima.
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In
entrambi i tuoi romanzi ho notato che hai inserito dei riferimenti all’arte. Ne
La follia del Palio Carlotta, rinchiusa in un ospedale psichiatrico, si dedica
all’arte figurativa ottenendo peraltro riscontri piuttosto positivi; in Sotto
le mura di Siena invece il padre di Niccolò è uno stimato musicista e sempre la
musica fungerà da collante nella storia tormentata tra Kosta e Morike. Questo
“topos”, oserei dire, ha uno scopo narrativo ben preciso?
Sì, l’arte ha uno scopo preciso: l’intento è
mostrarla come una sorta di cura per l’anima e come interconnessione tra le
persone. Oppure l’arte non come esposizione, ma come rifugio personale dai vari
drammi della Storia. Infine come bisogno di espressione. C’è molto di
autobiografico in quest’ultimo significato, ma sicuramente questa dimensione
del bisogno appartiene a tutti coloro che si relazionano con un’opera, anche i semplici
fruitori. Anzi spesso chi legge un
libro, come chi ammira un quadro o chi ascolta una melodia, trova
nell’espressione artistica significati sfuggiti persino all’autore. Ecco, quei
significati fanno sì che l’opera divenga sua fino in fondo, fanno sì che anche il
fruitore vi partecipi e contribuisca alla costruzione dei suoi molteplici
significati.
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Come
e quando nascono le tue storie? Generalmente a me non piace leggere in chiave
autobiografica ciò che un autore scrive: credo sia molto più interessante
inserire la nostra testa anziché quella dello scrittore in ciò che questi
descrive e tratteggia ma, mettendo un attimo da parte questa mia attitudine,
c’è qualcosa di autoreferenziale in ciò che scrivi? In quale personaggio ti
rispecchi maggiormente, tra quelli usciti dalla tua penna?
I personaggi dei miei
racconti nascono in modo ibrido. Credo che nella letteratura accada un qualcosa
di magico, quando storie e figure completamente inventate si innestano a
personaggi veri, conoscenti, parenti, amanti o amici ai quali “rubo” alcune
caratteristiche. Il resto è finzione. Questa ibridazione che avviene in
letteratura è un meccanismo a mio avviso simile a quello che accade nei sogni,
dove la vita vera si mescola alla visione.
Il personaggio più
autobiografico è sicuramente Guido Resti, de La Follia del Palio. Però non
credo mi rispecchi fino in fondo, anzi lo spero poiché non è
un personaggio del tutto positivo. A dire il vero nessun personaggio descritto
è del tutto positivo, ma è normale sia così poiché ognuno ha le proprie ombre.
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La
valigia è l’oggetto chiave del tuo ultimo romanzo. Penso abbia un valore
simbolico ben preciso: potresti spiegarlo?
Gli oggetti hanno un grande valore
simbolico in “Sotto le Mura di Siena”, poiché ho inteso il loro mondo come
staccato e parallelo a quello degli uomini. Gli oggetti assorbono le nostre
storie, le nostre emozioni, come avviene quando riaffiorano alcuni odori. E
così siamo catapultati nel vivido ricordo conservato nell’oggetto stesso, nelle
vicende appannate dal tempo e che di colpo si disvelano. Così avviene per la
valigia: qualcosa di inanimato che in realtà possiede una sorta di vita
propria.
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Secondo
una corrente di pensiero, quando un libro lo si legge per la seconda volta
diventa letteratura. Tu sei uno di quelli che legge più volte uno stesso
romanzo, fino quasi ad impararlo a memoria?
No, a dire il vero
leggo un libro una sola volta. Mi è capitato solo coi miei due romanzi
preferiti: Anna Karenina di Tolstoj e Madame Bovary di Flaubert. Li ho letti
tre volte ciascuno, ma è abbastanza facile innamorarsi di questi due
irraggiungibili mostri sacri.
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Non
ti chiedo nulla su un tuo possibile terzo libro, un po’ per scaramanzia, un po’
perché magari non potrai sbottonarti troppo, ma quali consigli daresti ad un
giovane, come te peraltro, che sogna di diventare scrittore?
Non ho problemi a
parlare del terzo libro, che è in cantiere e vorrebbe essere a conclusione di
questa sorta di “trilogia senese”. Di consigli non ne ho molti; se uno ha una
storia valida la invii alle case editrici, a tutte, dalle blasonate alle
minori. Essendo lo scrivere un qualcosa di personale, almeno così io lo
intendo, personalmente ho avuto per anni come una sorta di timore nel venire
allo scoperto. Ecco, consiglio alle persone remissive come lo ero io di
provarci. Forse è brutale dirlo ma è meglio che un romanzo non venga alla luce
poiché rifiutato, piuttosto di relegarlo a una vita passiva e nascosta in un
cassetto.
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Concludo
questa nostra chiacchierata letteraria, facendo un breve riferimento alla
recensione che ho scritto su di te. Hai potuto leggere che spesso mi capita di
accostare una canzone ad un romanzo, e sai che nel tuo caso metterei in
sottofondo Il negozio di antiquariato di Niccolò Fabi. Tu quale pensi sia il
pezzo migliore che possa adattarsi alle tue storie e alle loro atmosfere?
Innanzitutto grazie per
l’accostamento al pezzo di Niccolò Fabi, veramente molto bello.
C’è in effetti un brano
specifico che mi ha ispirato proprio nella stesura di Sotto le mura di Siena: “Le cose che pensano”, del grande Lucio
Battisti e del suo ultimo periodo con l’ermetico paroliere Pasquale Panella.
Una canzone colma di genio e che recita: “son le cose che pensano ed hanno di
te sentimento, esse t’amano e non io. Come assente rimpiangono te, certe cose
prolungano te”. Sono state queste emblematiche frasi che mi hanno fatto pensare
agli oggetti come “cose pensanti”, connessi al nostro mondo e portatori di loro
storie esclusive.
Michele
io ti ringrazio nuovamente per aver avuto la pazienza di rispondere a queste
mie curiosità. Il nostro blog è sempre a tua disposizione. Speriamo di
risentirti presto e, nel nostro piccolo, speriamo di portarti un po’ di
fortuna. Alla prossima!
Grazie a te Danilo e agli amici del blog per questa
piacevolissima chiacchierata. Mi ha fatto molto piacere. Spero di risentirci
presto e grazie di nuovo.
A cura di Danilo
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