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martedì 30 dicembre 2014

Intervista a Michele Masotti



Amico lettore, è con molto piacere che ti apro le porte di questo nuovo spazio virtuale. Benvenuto nell’angolo delle chiacchiere letterarie! Se potessi, ti offrirei una tazza di tè o una cioccolata fumante con panna, da sorseggiare con piacere e con parsimonia; qualunque cosa ti permetta di gustare al meglio quanto io e lo scrittore di turno ci racconteremo. Perché tu sarai il nostro osservatore muto, silenzioso ma dall’occhio vigile.
L’autore che sto per presentarti si chiama Michele Masotti. Se hai letto la mia precedente recensione, sai già di chi parlo: di un giovane scrittore senese con all’attivo due validissimi romanzi, La Follia del Palio e Sotto le mura diSiena, entrambi pubblicati da Leone Editore
Masotti è un autore particolarmente interessante, che spicca nell’attuale panorama letterario; uno scrittore dalla penna arguta, poetica, capace di coinvolgere e di emozionare. Una voce fortemente legata alla sua terra, alla sua Toscana, alla sua Siena e che, con ogni probabilità, merita di oltrepassare i confini delle propria regione. E’ un piacere per me poterlo intervistare e spero sia un piacere per voi leggere quanto verrà fuori da questa nostra chiacchierata. Per me lo sarà di sicuro. Buona lettura, amico!

Ciao Michele, prima di ogni cosa permettimi di ringraziarti a nome di tutto lo staff , sia per dedicarci parte del tuo tempo sia per aver accettato di condividere una chiacchierata letteraria sul nostro blog.


-         Allora Michele, cosa puoi dire di te ai nostri lettori? Chi è Michele uomo prima ancora del Michele scrittore? Ma soprattutto, come è nato il tuo rapporto con la lettura prima, e con la scrittura poi?  

Innanzitutto grazie a te Danilo e al blog per lo spazio dedicatomi. Il “Michele uomo” è facilmente riassumibile: trentaquattrenne, senese, una vita tutto sommato tranquilla in questa piccola e controversa città, una compagna, Giulia, e una bimba di cinque mesi, Agata. Un impiego non proprio entusiasmante in un’azienda di servizi informatico-bancari affiancato però dall’attività di romanziere: più che un lavoro una passione, anzi la mia vera espressione, non solo artistica.
Riguardo al rapporto con la lettura, posso dire che è sempre stato buono, con periodi “onnivori” alternati anche a lunghe pause prive di libri; mentre per quanto concerne il mio scrivere, benché abbia sempre “scarabocchiato” qualcosa sin dalla tarda adolescenza, la decisione di tentare il racconto di una storia arriva verso i venticinque anni. Storia che però non ho pubblicato poiché il primo romanzo vero e proprio risale ai miei trentatré anni: La follia del Palio, edito nel 2013.

-         Qual è il libro al quale ti senti maggiormente legato e perché? Nella stesura e nell’ideazione dei tuoi romanzi ti ispiri a dei modelli di riferimento? Insomma, in quello che scrivi quanto c’è di ciò che hai letto?

Il libro che mi ha dato la spinta per tentare un prima opera è stato il romanzo incompiuto del mio grande concittadino Federigo Tozzi: Adele. Tozzi aveva scritto le bozze di questo libro all’inizio degli anni ’10 del ‘900 e così, senza pretesa di comparazione letteraria, mi venne l’idea di “concluderlo” simbolicamente cento anni dopo. La protagonista de La Follia del Palio si chiama proprio Adele in onore del grande romanziere. Ed egli è di certo uno dei modelli di riferimento, specie nelle sue “architetture psicologiche”, spesso magistralmente celate in quello che erroneamente si ritiene verismo.

-         La follia del Palio e Sotto le mura di Siena sono i primi romanzi che hai pubblicato. Entrambe le storie sono ambientate a Siena, la tua città. Ecco, io penso che proprio Siena sia il grande personaggio aggiunto alle vicende che racconti, probabilmente nel primo libro ancor più che nel secondo. Quanto conta l’ambientazione nel momento in cui cominci a dar forma al romanzo? Pensi che se avessi ambientato altrove le tue vicende, le tue storie sarebbero state le stesse?

Sono molto felice di questa domanda perché speravo che in questi romanzi la mia città trasparisse proprio come una sorta di personaggio. Siena con la sua bellezza secolare e con le sue contraddizioni vuole essere una sorta di metafora proprio dell’uomo comune, teso tra la voglia di evasione da luoghi (non solo fisici) ritenuti a volte circoscritti e il bisogno invece di certezze, di essere cullato tra grandi mura materne. Siena insomma tra sprazzi regionalisti e aspirazioni universali. Difatti credo che l’ambiente influisca molto sulle persone, e le mie storie, benché ambientabili anche altrove, forse non sarebbero state le stesse. Anche nei libri che leggo sono molto attento all’ambientazione, alla cornice, che poi è cornice solo apparente poiché, se scandagliata a fondo, va sempre a inficiare nell’interiorità dei personaggi; che sia la metropoli o il paesino della provincia più sperduta.

-         Ne La follia del Palio descrivi benissimo cosa significhi per un senese questa corsa di cavalli; spieghi le emozioni che si provano prima, durante e dopo la “carriera; illustri rivalità ed alleanze tra le varie contrade". Tu come vivi generalmente questo attesissimo evento?

Come la maggior parte dei senesi: in modo viscerale. Essendo molto più di una corsa di cavalli, anzi una sorta di seconda pelle, era quasi obbligo inserire il Palio nelle vicende narrate nel primo romanzo. Ho cercato di raccontarlo con cenni impressionistici che possano renderlo digeribile anche ai “non addetti ai lavori”. Anzi, il Palio, scatola estrema di passioni, può essere letto come uno specchio stesso dell’esistenza, dove convivono tradimenti, intrighi, amori, vittorie e sconfitte, il tutto coronato dal primigenio e spasmodico rapporto dell’uomo e dell’animale. E poi la contrada che accompagna la nostra vita fino all’ultimo istante non può dunque essere esclusa dalla narrazione della realtà sociale. Anche questa dimensione così peculiare ritengo possa essere condivisa da tutti. Di più, nell’ottica di quello che gli antropologi hanno definito “il demone dell’appartenenza”, il racconto del Palio è solo un tentativo di riflessione sul filo invisibile che lega ognuno alla propria terra. Un qualcosa su cui ragionare in un’epoca che, senza usare troppa retorica, è evidentemente disgregante e anonima.

-         In entrambi i tuoi romanzi ho notato che hai inserito dei riferimenti all’arte. Ne La follia del Palio Carlotta, rinchiusa in un ospedale psichiatrico, si dedica all’arte figurativa ottenendo peraltro riscontri piuttosto positivi; in Sotto le mura di Siena invece il padre di Niccolò è uno stimato musicista e sempre la musica fungerà da collante nella storia tormentata tra Kosta e Morike. Questo “topos”, oserei dire, ha uno scopo narrativo ben preciso?

Sì, l’arte ha uno scopo preciso: l’intento è mostrarla come una sorta di cura per l’anima e come interconnessione tra le persone. Oppure l’arte non come esposizione, ma come rifugio personale dai vari drammi della Storia. Infine come bisogno di espressione. C’è molto di autobiografico in quest’ultimo significato, ma sicuramente questa dimensione del bisogno appartiene a tutti coloro che si relazionano con un’opera, anche i semplici fruitori. Anzi spesso chi legge un libro, come chi ammira un quadro o chi ascolta una melodia, trova nell’espressione artistica significati sfuggiti persino all’autore. Ecco, quei significati fanno sì che l’opera divenga sua fino in fondo, fanno sì che anche il fruitore vi partecipi e contribuisca alla costruzione dei suoi molteplici significati.

-         Come e quando nascono le tue storie? Generalmente a me non piace leggere in chiave autobiografica ciò che un autore scrive: credo sia molto più interessante inserire la nostra testa anziché quella dello scrittore in ciò che questi descrive e tratteggia ma, mettendo un attimo da parte questa mia attitudine, c’è qualcosa di autoreferenziale in ciò che scrivi? In quale personaggio ti rispecchi maggiormente, tra quelli usciti dalla tua penna?

I personaggi dei miei racconti nascono in modo ibrido. Credo che nella letteratura accada un qualcosa di magico, quando storie e figure completamente inventate si innestano a personaggi veri, conoscenti, parenti, amanti o amici ai quali “rubo” alcune caratteristiche. Il resto è finzione. Questa ibridazione che avviene in letteratura è un meccanismo a mio avviso simile a quello che accade nei sogni, dove la vita vera si mescola alla visione.
Il personaggio più autobiografico è sicuramente Guido Resti, de La Follia del Palio. Però non credo mi rispecchi fino in fondo, anzi lo spero  poiché non è un personaggio del tutto positivo. A dire il vero nessun personaggio descritto è del tutto positivo, ma è normale sia così poiché ognuno ha le proprie ombre.

-         La valigia è l’oggetto chiave del tuo ultimo romanzo. Penso abbia un valore simbolico ben preciso: potresti spiegarlo?

Gli oggetti hanno un grande valore simbolico in “Sotto le Mura di Siena”, poiché ho inteso il loro mondo come staccato e parallelo a quello degli uomini. Gli oggetti assorbono le nostre storie, le nostre emozioni, come avviene quando riaffiorano alcuni odori. E così siamo catapultati nel vivido ricordo conservato nell’oggetto stesso, nelle vicende appannate dal tempo e che di colpo si disvelano. Così avviene per la valigia: qualcosa di inanimato che in realtà possiede una sorta di vita propria.

-         Secondo una corrente di pensiero, quando un libro lo si legge per la seconda volta diventa letteratura. Tu sei uno di quelli che legge più volte uno stesso romanzo, fino quasi ad impararlo a memoria?

No, a dire il vero leggo un libro una sola volta. Mi è capitato solo coi miei due romanzi preferiti: Anna Karenina di Tolstoj e Madame Bovary di Flaubert. Li ho letti tre volte ciascuno, ma è abbastanza facile innamorarsi di questi due irraggiungibili mostri sacri.

-         Non ti chiedo nulla su un tuo possibile terzo libro, un po’ per scaramanzia, un po’ perché magari non potrai sbottonarti troppo, ma quali consigli daresti ad un giovane, come te peraltro, che sogna di diventare scrittore?

Non ho problemi a parlare del terzo libro, che è in cantiere e vorrebbe essere a conclusione di questa sorta di “trilogia senese”. Di consigli non ne ho molti; se uno ha una storia valida la invii alle case editrici, a tutte, dalle blasonate alle minori. Essendo lo scrivere un qualcosa di personale, almeno così io lo intendo, personalmente ho avuto per anni come una sorta di timore nel venire allo scoperto. Ecco, consiglio alle persone remissive come lo ero io di provarci. Forse è brutale dirlo ma è meglio che un romanzo non venga alla luce poiché rifiutato, piuttosto di relegarlo a una vita passiva e nascosta in un cassetto.

-         Concludo questa nostra chiacchierata letteraria, facendo un breve riferimento alla recensione che ho scritto su di te. Hai potuto leggere che spesso mi capita di accostare una canzone ad un romanzo, e sai che nel tuo caso metterei in sottofondo Il negozio di antiquariato di Niccolò Fabi. Tu quale pensi sia il pezzo migliore che possa adattarsi alle tue storie e alle loro atmosfere?

Innanzitutto grazie per l’accostamento al pezzo di Niccolò Fabi, veramente molto bello.
C’è in effetti un brano specifico che mi ha ispirato proprio nella stesura di Sotto le mura di Siena: “Le cose che pensano”, del grande Lucio Battisti e del suo ultimo periodo con l’ermetico paroliere Pasquale Panella. Una canzone colma di genio e che recita: “son le cose che pensano ed hanno di te sentimento, esse t’amano e non io. Come assente rimpiangono te, certe cose prolungano te”. Sono state queste emblematiche frasi che mi hanno fatto pensare agli oggetti come “cose pensanti”, connessi al nostro mondo e portatori di loro storie esclusive.

Michele io ti ringrazio nuovamente per aver avuto la pazienza di rispondere a queste mie curiosità. Il nostro blog è sempre a tua disposizione. Speriamo di risentirti presto e, nel nostro piccolo, speriamo di portarti un po’ di fortuna. Alla prossima!


Grazie a te Danilo e agli amici del blog per questa piacevolissima chiacchierata. Mi ha fatto molto piacere. Spero di risentirci presto e grazie di nuovo. 

A cura di Danilo

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